Bare ed urne realizzate con materiali biodegradabili, saldature “a freddo” delle casse zincate: sono diverse le soluzioni proposte per diminuire l’impatto ambientale. E in America è legalizzato il “compostaggio umano”
L’attenzione ai temi della sostenibilità ambientale, che sta investendo molti ambiti della nostra società, è approdata negli ultimi anni anche nel settore funebre. Sempre più spesso si parla di adozione di soluzioni poco impattanti da un punto di vista ambientale, come per esempio l’utilizzo di urne realizzate con materiali 100% riciclabili per conservare le ceneri di un defunto dopo la cremazione o di casse funebri biodegradabili e prodotte senza l’utilizzo di additivi chimici.
I fautori di funerali e sepolture green portano a sostegno delle loro tesi studi che documentano che le bare tradizionali non sono eco-sostenibili perché per la loro produzione vengono utilizzate grandi quantità di legname ogni anno e le vernici, con le quali sono rifinite, rilasciano sostanze dannose nel terreno, in caso di sepoltura, o nell’aria, quando si sceglie la cremazione. Inoltre, una volta scaduti i termini di concessione della sepoltura in un cimitero, la cassa in legno deve essere smaltita e la conseguenza è sempre l’inquinamento causato dalle vernici.
Tra le tante proposte innovative, ideate per ridurre l’impatto ambientale, alcune agenzie funebri propongono bare in legno grezzo o verniciate ad acqua, bare biodegradabili in carta riciclata, in vimini o in bambù. C’è anche la possibilità della saldatura “a freddo” delle casse zincate interne alle bare; questo perché la saldatura “a caldo” sprigiona fumi irritanti e tossici, particolarmente dannosi per la salute, costringendo gli operatori ad usare protezioni e non permette ai familiari di assistere da vicino alla chiusura del proprio caro nella bara. La saldatura “a freddo”, invece, non rilascia gas e permette la vicinanza dei familiari.
Se in Italia ancora non si parla di vere e proprie alternative green alla sepoltura e alla cremazione, in alcuni Stati americani quali Washington, Colorado, Vermont, Oregon, e ora anche California, è stato già legalizzato il “compostaggio umano”, ossia il procedimento che prevede che il corpo del defunto sia messo in un contenitore d’acciaio e sepolto a qualche metro di profondità, circondato da materiali biodegradabili come trucioli di legno, erbe, paglia. Si attende quindi la normale decomposizione, che avviene a basse temperature, così da non far proliferare i batteri patogeni. Appositi biofiltri impediscono la fuoriuscita degli odori. Il corpo del defunto dovrebbe, in questo modo, decomporsi in 1 o 2 mesi. Il terriccio organico che si crea può essere restituito ai parenti o donato a terreni agricoli di conservazione.
In Europa, un disegno di legge sul tema è stato recentemente presentato in Francia dalla vicepresidente del parlamento francese, Élodie Jacquier-Laforge, che ha proposto proprio il “compostaggio umano” come alternativa sostenibile agli altri metodi di sepoltura. La proposta ha suscitato perplessità e aperto un vivace dibattito che continua tuttora e che presto potrebbe investire anche il nostro Paese.