Lorenzo Donadel: «L’impresario funebre? Più che un mestiere, una missione»

Lorenzo Donadel

Il titolare delle Onoranze Funebri Donadel di Belluno spiega come il servizio funebre non sia mai una procedura stereotipata, ma debba procedere dallascolto

L’obiettivo che ogni mattina si pone Lorenzo Donadel, titolare dell’omonima impresa di Onoranze Funebri di Sedico in provincia di Belluno, è riuscire a soddisfare le famiglie sebbene stiano vivendo uno dei momenti più delicati della loro vita. È proprio rispettando questo rigoroso principio umano e imprenditoriale, che Lorenzo Donadel dal 1991 porta avanti la sua impresa di onoranze funebri.

«All’epoca fu un completo salto nel vuoto. Solitamente questo tipo di attività è a conduzione familiare. Nel mio caso non fu così. Ero molto giovane, facevo l’operaio e a un certo punto scelsi di dedicarmi a questo lavoro. Non voglio chiamarla vocazione, ma per me la spinta iniziale è stata la possibilità di aiutare davvero le persone in un momento delicato e fragile delle loro vite. Quando tutti danno per scontato il loro dolore io mi accorgo che il supporto non è mai abbastanza. Le persone hanno timore di quello che potrebbero dire al dolente e temono di offendere o di sembrare banali. Io mi adopero per colmare questo vuoto, per sostenere i parenti dei defunti avvicinandomi a loro e affrontando al loro fianco i primi giorni di lutto. Per me il mestiere dell’impresario funebre è anzitutto una missione, è un servizio sociale. Lo è da quando ho iniziato ed è il motivo per cui cerco di essere sempre presente in ogni servizio che faccio di ciascuna delle nostre quattro filiali [sempre nel bellunese, ndr]».

Perché questa presenza costante?
«Perché il titolare, specie di un’impresa che offre un servizio così delicato, deve sempre esserci nel momento del dolore. Anche se ho più funerali in una giornata, cerco di organizzarmi per fare in modo da partecipare a ognuno: all’arrivo in chiesa o la partenza della salma, o durante funzione religiosa. È una questione di umanità».

Nel suo lavoro, quanto conta laspetto empatico e quanto invece è necessario mantenere la distanza?

«Il lato umano è quello che fa la differenza. Dobbiamo essere in parte coinvolti. Quando vengo contattato da una famiglia che ha subito una perdita, la mia prima domanda è se sono riusciti a salutare il loro caro. Voglio entrare in contatto con loro, sono persone prima che clienti. Io scrivo le epigrafi e mi commuovo nel farlo. Forse perché nella mia storia personale non ho mai avuto realmente forti radici. Penso sia questa la ragione per cui sono sensibile a questo tema».

Quando si ha bisogno di unimpresa funebre purtroppo non si è emotivamente preparati e non si sa a chi affidarsi. Come si sceglie secondo lei un buon professionista?

«Consiglio di ottenere un preventivo scritto. Per lo stesso identico servizio si possono trovare tariffe molto diverse. Anche le esperienze di amici e conoscenti possono aiutare a scegliere a chi affidarsi. La qualità del servizio purtroppo il cliente la può verificare solo alla fine. La cosa importante è capire se c’è la cura del dettaglio».

Cosa intende?
«Questo mestiere richiede profonda umanità. Posso dire cosa chiedo io a me stesso e ai miei collaboratori: ad esempio di non indossare mai gli occhiali da sole, i familiari lo possono fare, non certo noi. L’impresario funebre deve guardare e deve essere guardato negli occhi. Bisogna avere una certa formalità nei comportamenti. Sono dettagli, ma le assicuro che fanno la differenza. Questo tipo di servizio non può essere stereotipato, deve essere sempre misurato sulla famiglia, sul defunto, perché fondamentalmente è questione di rispetto dell’altro».

Ci sono delle parole o dei gesti che non dovrebbero mai mancare?
«Più che altro non dovrebbe mai mancare il rispetto di aspettare i dolenti durante la processione, perché il dolore è sempre dietro il carro».

Come sono cambiati il settore e le richieste dei clienti da quando ha iniziato a oggi?

La cremazione è unopzione contemplata dai familiari dei defunti?
«Una delle maggiori novità è l’aumento di richieste di cremazione che oggi costituiscono circa il 50% dei funerali che curiamo. Negli ultimi anni c’è stato un continuo aumento, anche perché gli utenti sempre più si rendono conto che dopo alcuni decenni dal funerale è prevista l’estumulazione, che è una procedura spesso faticosa e anche dolorosa. È il motivo per cui anche io ho cambiato idea».

Lei vive in una regione dItalia ad alto tasso di immigrazione ormai da decenni. Si riflette anche nel suo lavoro?

«Capita sempre più spesso di andare all’estero per accompagnare il defunto che viene seppellito lì, specie nei paesi dell’est Europa. Tuttavia agli stranieri che vivono qui ormai stabilmente iniziano sempre più a chiederci un consiglio nel valutare dove seppellire i loro cari  per stare loro vicino e per poterli visitare in cimitero».

Quindi limpresario funebre diventa anche un consulente?
«Dipende dalle persone, ci vuole sempre molta discrezione. Ma spesso sono i dolenti a chiedere un suggerimento. E siccome non esistono risposte uguali per tutti, bisogna capire quali siano le loro esigenze prima di esprimere un consiglio».

Diceva che il suo più che un mestiere è una missione, cosa intende?

«Che non è solo un’attività economica, ma pensi al Medioevo: a fare questo mestiere erano i poveracci, i diseredati che svolgevano una funzione sociale. Ecco credo che quella dimensione esista ancora oggi. L’impresario funebre io credo sia una persona la cui funzione è anzitutto a servizio della comunità. Ci sono state famiglie che avevano poca disponibilità economica, ma questo non ha precluso loro di avere un funerale dignitoso, pagando magari in modo dilazionato. Ed è andata bene così. Alla fine i servizi che offriamo sono quelli che molte imprese funebri garantiscono. Quello che cerco di fare è metterci il cuore nelle piccole così come nelle grandi cose».

Perché ha scelto proprio questo mestiere?
«Uno dei ricordi più forti che ho, è di me bambino. Abitavo a Mestre allora, era morto un anziano del quartiere. Ricordo perfettamente il grande carro funebre, i fari accesi. È un’immagine che mi ha folgorato e non ho più scordato. Una decina di anni dopo conobbi un tale che mi parlò di questo lavoro. A volte penso che è sempre stata una questione di destino».

Con Lorenzo Donadel collabora anche il figlio Nicola oltre a un’equipe di collaboratori impiegati nelle quattro filiali dell’azienda, un’impresa in costante crescita dalla sua apertura nel 1991 a oggi.

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