Oggi, attraverso la lettura dei suoi versi, Sarzana ricorda lo scrittore e poeta Paolo Bertolani, scomparso nel 2007: nato a La Serra di Lerici nel 1931, l’uomo fece del dialetto della sua terra il punto di forza della sua poesia.

"Le sue poesie più belle sono scritte nel dialetto della Serra di Lerici, che assomiglia poco al genovese di Edoardo Firpo, non ha nulla della cantilena dolce con cui si parla a Ponente, e si distanzia dallo stesso spezzino per una sua sonorità più ispida e irta di dissonanze e dissolvenze": così Giuseppe Conte ha descritto la lingua usata dal poeta.

Bertolani era apprezzato soprattutto per la sa capacità di trasformare in poesia anche gli oggetti e le situazioni quotidiane più semplici e banali, conferendo dignità a una cultura povera e contadina: La Serra e i suoi abitanti rappresentano il punto di partenza della sua poetica, legata a temi esistenziali, come il confronto con la morte.

La capacità del poeta ligure di evocare situazioni e cose appartenenti alla vita di tutti i giorni attraverso l’utilizzo del dialetto, che lui considerava la sua “lingua madre”, gli permisero di entrare in contatto con personalità letterarie importanti quali Mario Soldati, Vittorio Sereni e Attilio Bertolucci. Bertolani, inoltre, fece parte della giuria in premi letterari prestigiosi, come il Premio LericiPea, che, nel 1990, vinse con "Libi", che nel suo dialetto significa "libri".
Proprio per il profondo legame storico letterario e che il poeta aveva con il territorio del Golfo dei Poeti, i comuni spezzini di Castelnuovo Magra e di Lerici gli concessero la cittadinanza onoraria. Colpito da una grave malattia che non gli diede scampo, Bertolani, nell'opera "Raità da neve", aveva rappresentato la fine vicina attraverso versi profondamente malinconici, che sottolineavano come la rarità della neve, per chi vive vicino al mare, rappresenti il simbolo dei sogni dell'esistenza, destinati a svanire.
"In tempi di crisi del linguaggio poetico che ci ha coinvolto tutti, ha fatalmente scoperto l'erba miracolosa necessaria, e che non voglio chiamare medicina.

Si trattava della sua lingua materna, quella usata tutti i giorni, ma recuperata andando alle sue origini più remote, ma fatta rivivere da una mente sensibile, capace di arricchirla con esperienze linguistiche fuori del tempo e dello spazio": con queste parole, Attilio Bertolucci parlava di Bertolani, il quale, alla sua amata frazione della Serra, ha anche dedicato un’ode.