Il 28 giugno 1943 cadeva in via Pindemonte la prima partigiana combattente italiana.

Alma Vivoda, nata a Chiampore, era stata un’organizzatrice dei nuclei antifascisti del muggesano assieme al marito Luciano Santalesa. La loro osteria “La Tappa” era stata un punto di ritrovo fondamentale. Alma, che era accesa sostenitrice del Partito Comunista, nonostante avesse frequentato soltanto le elementari, era una donna di vivida intelligenza. Sempre attenta ai problemi dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, ebbe un ruolo fondamentale nella redazione e poi nella diffusione del giornale clandestino “La Nuova Donna”.

“Alma ed io salivamo per la via Pindemonte. Incontrammo un milite della Polizia Ferroviaria, voltammo il viso per non essere riconosciute. Scorgemmo allora, tra i cespugli, un carabiniere a noi ben noto, di servizio a Muggia. Tutto accadde repentinamente. Il carabiniere cominciò a sparare, per fermarci. Alma estrasse una pistola e una bomba a mano, forse per dare anche a me un’arma per difenderci. Il carabiniere continuò a sparare all’impazzata e colpì Alma alla tempia. Io ero a terra, insanguinata. Egli mi affrontò, gli gridai se fosse impazzito. Intervenne il milite della Polizia Ferroviaria; il carabiniere gli ordinò di tenermi sotto tiro. Arrivò la Croce Rossa. Ritrovai Alma all’ospedale. Fino all’ultimo le restai vicina, tenendole la mano. Il suo sguardo in quell’istante non era di odio verso il suo assassino, ma di profonda tristezza, come di una madre che vede un proprio figlio su una mala strada”.

Queste le parole, ancora impregnate di violenza, di Pierina Chinchio in ricordo di quei tragici attimi del 28 giugno 1943, quando parlò per l’ultima volta ad Alma Vivoda.