15 dicembre '69: il misterioso "volo" di Giuseppe Pinelli.

In un clima di aspri conflitti, venti di rivoluzione, amare consapevolezze e pindariche illusioni, prende vita il 69 "operaio": un anno di protesta, di rivolta socio-culturale e soprattutto di stragi, la cui "madre" fu quella di piazza Fontana del 12 dicembre.

Quel giorno un ordigno contenente 7 chili di tritolo uccise 16 persone e ne ferì 87. In contemporanea altre bombe esplosero in diversi punti di Roma e Milano. Alla fine se ne contarono cinque.

Subito l'opinione pubblica si fece pressante. Il Paese aveva bisogno a tutti i costi dei responsabili di quell'attentato. In una retata vennero fermate circa 80 persone, tutte rilasciate tranne uno, trattenuto nelle stanze della Questura per un ulteriore interrogatorio. Si tratta di Giuseppe Pinelli, ferroviere, padre di famiglia, animatore di un piccolo circolo anarchico. Fedina penale immacolata.

Pinelli dopo tre giorni si trovava ancora nel palazzo della questura, trattenuto in maniera illegale poiché un fermo di polizia non può durare oltre 48 ore. Con lui c'era il commissario Luigi Calabresi (suo conoscente), Antonino Allegra (responsabile dell'Ufficio Politico della questura), un ufficiale dei carabinieri, un agente e tre sottufficiali della polizia. Ad un tratto Pinelli "volò" dalla finestra della stanza, al quarto piano della Questura. Era il 15 dicembre del 1969.

Quel che accadde in quei locali della Questura di Milano è ancora oggi motivo di non poche discussioni e polemiche. L'inchiesta ufficiale gridò al suicidio per colpevolezza, salvo poi ritrattare, concludendo con la singolare tesi di morte per un "malore attivo". In seguito toccò al Commissario Calabresi rilasciare una versione, seppur imbastita, ma poco tempo dopo anche il Commissario fu ucciso.

A 46 anni di distanza, quella di Pinelli rappresenta una delle pagine più buie della giustizia italiana.