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  • Genova - 21/05/2016

    Il 21 maggio di 17 a...

    Il 21 maggio di 17 anni fa, se ne andava Pio Roba, pittore e poeta genovese.

    Nato ad Arenzano nel 1915, Pio Roba, dopo gli studi classici e l’università, fu allievo di Eso Peluzzi, nella Scuola d'arte Cesare Tallone di Savona, e iniziò a lavorare nel campo dell’arte. Costretto, allo scoppio della seconda guerra mondiale, ad abbandonare la professione d’insegnante che svolgeva con passione, l’uomo divenne ufficiale d’artiglieria. È poi nel dopoguerra che Pio Roba poté riprendere il suo mestiere d’insegnante, trasferendosi a Pieve Ligure, e iniziando anche a dipingere quadri con la tecnica dell’acquerello. A questi anni, risale la serie di dipinti dedicati alla società antica, che illustrano il mondo contadino e la dura vita nei campi; da quel momento il pittore genovese iniziò a esporre i suoi quadri a Genova, a Savona, a Laigueglia, ad Alassio, ad Arenzano, ma anche a Roma e a Milano, facendosi conoscere in tutta Italia. Di lì a poco, le opere di Roba furono protagoniste di mostre anche all’estero, soprattutto a Zurigo, a Londra, a Edimburgo, a Montecarlo, e a Bruxelles.

    La vittoria del concorso internazionale "Leone d'Oro" è solo uno dei diversi premi e riconoscimenti attribuiti all’artista genovese, il quale lavorò anche a Parigi.

    Roba, inoltre, si cimentò anche nella poesia, pubblicando, nel 1980, la raccolta dal titolo “100 poesie di un pittore”, e, nel 1988, ottenne, a Firenze, il riconoscimento del Gran trofeo "Arte ed Ecologia Oggi".

    In Italia sono state diverse le mostre, come quella svoltasi nel comune di Bogliasco nel 2007, dedicate alle vita e alle opere di questo artista, scomparso a Genova il 21 maggio del 1999.

  • Genova - 20/05/2016

    Il 20 maggio del 190...

    Il 20 maggio del 1900, Borgo Fornari dava i natali a Luigi Carlo Daneri, noto architetto genovese, scomparso nel 1972.

    Dopo la laurea in ingegneria e un periodo di apprendistato presso lo studio genovese dei Coppedè, nel 1929, Daneri aprì una propria attività, iniziando subito a progettare e a costruire le sue prime opere. Protagonista indiscusso delle vicende architettoniche genovesi, l’uomo si è sempre relazionato in modo deciso con il territorio, ispirandosi e riprendendo tipologie ed elementi espressi da Le Corbusier, riadattandoli al contesto ligure in cui ha operato.
    I quartieri genovesi Bernabò-Brea, Quezzi e Mura degli Angelis sono un esempio di come Daneri considerasse centrale il rapporto tra l'edificio e il contesto urbano in cui andava a sorgere. Il quartiere da lui progettato, che i genovesi chiamano il Biscione, e che rappresenta uno dei più importanti e significativi esempi di architetture di grandi dimensioni in Italia, è l'espressione del Plan Obus pensato da Le Corbusier per Algeri, ma mai realizzato.
    La peculiarità dell’architetto genovese è proprio quella di aver progettato edifici che hanno sempre instaurato una relazione con il territorio in cui sorgono, rispettando l’habitat e la natura circostante: basti pensare alle case di Sanremo che riprendono l'andamento sinuoso della costa. Ma un'altra caratteristica del suo operare è l'etica della progettazione: egli adottava lo stesso atteggiamento sia che costruisse la casa popolare, sia la casa per il borghese di turno. Personaggio singolare, che non amava viaggiare né guidare l’automobile, nel 1933, Daneri partecipò alla V Triennale di Milano con il gruppo degli architetti liguri, e nel 1934, vinse il concorso per le case alte alla Foce di Genova. Nel dopoguerra, l’architetto partecipò alla progettazione per INA-Casa, per la ricostruzione di Genova, nonostante una grave malattia gli impedì di proseguire il lavoro per un decennio.

    Docente presso l’università di Genova, Daneri fu anche membro del Movimento Studi Architettura e membro effettivo e vice presidente della sezione ligure dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. Inoltre, le sue opere di architettura, design e progettazione furono spesso pubblicate sulle riviste più famose dell’epoca.

  • Genova - 20/05/2016

    Il 20 maggio di tre...

    Il 20 maggio di tre anni fa, moriva, a Genova, uno degli artisti più amati dai genovesi, il pittore e illustratore Flavio Costantini.
    Romano classe 1926, Costantini si era arruolato in Marina, raggiungendo il grado di Sottotenente di Vascello. Amante della letteratura, nei primi anni 50, mentre naviga con la Marina mercantile, l’uomo inizia a illustrare i romanzi di Franz Kafka, America e Il processo. Dopo lo sbarco definitivo, Costantini si trasferisce a Rapallo, dedicandosi alla progettazione e al disegno di stoffe a Santa Margherita Ligure, unendosi, poi, allo studio grafico Firma di Genova, e collaborando con le riviste aziendali della Shell e della Esso.

    Dai primi anni 60, dopo un viaggio in Unione Sovietica e una serie di letture sul movimento libertario internazionale, il pittore, ispirandosi ai maggiori attentati compiuti in Italia, in Francia, in Spagna e negli Stati Uniti tra la fine dell'800 e la seconda metà del 900, realizza tempere che riproducono in modo dettagliato gli eventi più significativi della storia dell’anarchia, con un’attenzione particolare alla figura del rivoluzionario. È poi negli anni 80, che l’ispirazione di Costantini torna a essere la letteratura, che lo porta a realizzare ritratti di scrittori e di poeti. Illustratore di libri quali Cuore di Edmondo De Amicis, La linea d'ombra di Joseph Conrad, e Ricordi dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, Costantini ha realizzato illustrazioni per quotidiani e riviste come La Domenica del Corriere, Corriere della Sera, La Repubblica, Panorama e L'Espresso.

    Da autodidatta, l’artista ha sempre seguito un percorso autonomo e personale, senza mai riconoscersi in un movimento artistico definito: a delineare persone e architetture è il tratto nero, caratteristica inconfondibile dei suoi dipinti, protagonisti di gallerie e musei in Italia e all’estero.

    L'Associazione Archivio Flavio Costantini, nata a Genova il primo luglio del 2011, ha l’obiettivo di promuovere, valorizzare e diffondere la conoscenza dell'opera di questo importante artista.

  • Genova - 19/05/2016

    Oggi si ricorda Rito...

    Oggi si ricorda Rito Selvaggi, compositore, direttore d'orchestra e musicista, spentosi a Rapallo, il 19 maggio del 1972.

    Già da bambino, Selvaggi dimostrò inclinazione e passione per la musica, che hanno caratterizzato tutta la sua vita: allievo al Conservatorio Rossini di Pesaro, ne sarebbe diventato direttore nel 1959, e, a soli 14 anni, cominciò a esibirsi in concerti pianistici sia in Italia sia all'estero, lodato da Debussy e Paderewski.
    Anche durante la prima guerra mondiale, alla quale sopravvisse nonostante ferito, Selvaggi suonò e organizzò per le truppe memorabili concerti, e, dopo l’8 settembre 1943, fu protagonista della vita musicale del Trentino-Alto Adige e del Tirolo, fino a diventare direttore d’orchestra. La brillante carriera artistica dell’uomo gli permise di viaggiare non soltanto in Europa, ma anche in Russia, in India, in Giappone, negli Stati Uniti e persino in Australia.

    Dal 1929 al 1943, Selvaggi fu direttore artistico dell’allora EIAR, l’ente italiano per le audizioni radiofoniche, e, nel 1934, divenne docente di Composizione al Conservatorio di Parma, di cui fu anche direttore.

    Compositore di numerosissime opere, e direttore dei prestigiosi conservatori italiani di Palermo, Parma e Pesaro, Selvaggi, negli ultimi anni di vita, continuò a dedicarsi alle sue composizioni e ai suoi vita nella sua villa di Zoagli.

  • Genova - 18/05/2016

    Il 18 maggio del 198...

    Il 18 maggio del 1988, se ne andava Enzo Tortora, conduttore televisivo, giornalista e politico italiano.

    Nato a Genova il 30 novembre 1928, Tortora studia all’Università di Genova, realizzando, nel frattempo, diversi spettacoli insieme a Paolo Villaggio. Trasferitosi, poi, a Roma, a soli 23 anni, conduce per la Rai, il programma radiofonico "Campanile d'oro".

    È il 1956, quando debutta in televisione con Silvana Pampanini, nel varietà "Primo applauso", e, dopo "Telematch", è la trasmissione "Campanile sera" di Mike Bongiorno a lanciare Enzo Tortora come conduttore. A causa di un contrasto con i dirigenti rai, il genovese si trasferisce in Svizzera, dove presenta "Terzo Grado"; al suo rientro nella capitale, conduce il programma radiofonico "Il gambero" e, dal 1965 al 1969, "La domenica sportiva", innovando profondamente il format. Nel 1965, Tortora è il presentatore della prima edizione italiana di "Giochi senza frontiere".

    Dopo una parentesi durante la quale lavora per delle emittenti private e collabora, come giornalista, per alcuni quotidiani, nel 1977, il conduttore torna in Rai accanto a Raffaella Carrà, in "Accendiamo la lampada". Ma è grazie al seguitissimo programma "Portobello", che Tortora diventa una vera icona della tv, contribuendo a far registrare uno share di 26 milioni di telespettatori. Dopo il passaggio a Mediaset e il programma "Cipria", nel 1983, il presentatore genovese conduce, con Pippo Baudo, la rubrica elettorale "Italia parla".

    La vita di Tortora cambia il 17 giugno 1983, quando, sulla base delle accuse di un pentito della camorra, l’uomo viene arrestato. Da quel momento, inizia il suo impegno in politica: un anno dopo l'arresto, diventa europarlamentare nelle liste dei Radicali.

    Dopo un lungo calvario, il 20 febbraio 1987, per Tortora arriva, dalla Corte di Cassazione, l’assoluzione.

    Diventato un simbolo della malagiustizia, torna in televisione, e, conclusa in anticipo la conduzione del suo ultimo programma intitolato "Giallo", Enzo Tortora muore il 18 maggio 1988, nella sua casa di Milano.

    Sulla sua vicenda, Maurizio Zaccaro ha girato il film del 1999 "Un uomo perbene", con Michele Placido nel ruolo di protagonista.

    Nel 2008, il Comune di Genova ha intitolato a Enzo Tortora una galleria, e, nel 2013, in occasione del centenario della fondazione della Compagnia Baistrocchi, alla quale il presentatore genovese partecipò in qualità di attore e autore, nel foyer del Teatro Rina e Gilberto Govi di Genova Bolzaneto, è stata posata una targa che lo ricorda.

  • Genova - 18/05/2016

    «Partecipo con commo...

    «Partecipo con commozione al cordoglio del mondo culturale italiano e della città di Genova, e al dolore della famiglia, per la scomparsa del poeta e scrittore Edoardo Sanguineti, sempre civilmente impegnato anche sui banchi del Parlamento dove ebbi modo di conoscerlo e apprezzarlo».

    Esattamente 6 anni fa, con queste parole, l’allora presidente Giorgio Napolitano aveva espresso il suo cordoglio per la scomparsa del poeta, scrittore e critico genovese Edoardo Sanguineti.

    Sanguineti nasce a Genova nel 1930, ma, bambino, si trasferisce a Torino con la famiglia. Dopo aver partecipato alla raccolta collettiva di poesia 'I nuovissimi' nel 1961, l’intellettuale genovese fu tra le personalità di spicco che aderirono al 'Gruppo 63', un movimento letterario di neoavanguardia, nato a Palermo nel 1963, di cui facevano parte poeti, scrittori e critici desiderosi di sperimentare nuove forme d’espressione, invertendo i canoni tradizionali.

    La poesia sperimentale di Sanguineti è una sorta di dissoluzione del linguaggio quotidiano, come dimostrazione dell'impossibilità del comunicare nella società dei consumi. La sua prima pubblicazione Laborintus, nel 1956, deve il titolo all’uso di uno schema labirintico e di difficile interpretazione: le poesie di Sanguineti sarebbero diventate, solo un decennio dopo, norma per le sperimentazioni linguistiche-poetiche degli anni sessanta.
    Col tempo, il poeta genovese elaborò un regime satirico e grottesco che risentì dell’influenza del realismo marxista e della psicoanalisi, e fu, inoltre, professore di letteratura all'Università di Torino, Salerno e Genova. Dal 1976, quando collabora con L’Unità, Sanguineti inizia a impegnarsi anche in politica: diventa, infatti, consigliere comunale a Genova e deputato della Camera come indipendente, nelle liste del Pci.

    La Corona d'oro di Struga e il Premio Librex Montale del 2006 sono soltanto alcuni dei numerosi riconoscimenti attributi a questo grande letterato, che, nel 1996, ha ricevuto, dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Scalfaro, la nomina di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di gran merito della Repubblica italiana.
    Sanguineti è stato un letterato a 360 gradi: non solo poeta e intellettuale, ma anche autore di teatro, critico e saggista, che ha portato avanti la sua attività fino all'ultimo, contribuendo a rivoluzionare la scena letteraria italiana dei primi anni 60.

  • Genova - 16/05/2016

    Il 16 maggio di 48 a...

    Il 16 maggio di 48 anni fa, moriva, a Rapallo, il pittore Oreste Bogliardi.

    Dopo gli studi all’Accademia di Brera, Bogliardi, nel 1926, è tra gli artisti che si raccolgono attorno alla "Galleria del Milione", e che si battono in favore dell’arte moderna italiana. Nel 1934, firma il Manifesto per la prima collettiva di pittori astratti, e, un anno dopo, partecipa al movimento internazionale "Abstraction Creation" di Parigi, con il piccolo gruppo degli astrattisti italiani. Le mostre di Bogliardi, oltre che all’estero, vengono esposte a Milano, a Roma, a Genova e a Rapallo.

    È poi nel 1966, che il pittore partecipa alla prima mostra dell'astrattismo italiano, in occasione della XXXIII Biennale di Venezia, e, un anno dopo, riceve il Fiorino d'Oro alla Mostra Italiana di Arte Moderna 1915-1935, presso Palazzo Strozzi di Firenze. Il 28 ottobre 1967, durante Il Premio Bolzano, gli viene assegnata la medaglia d’oro, e diverse mostre personali postume si tengono ad Albisola, nel 1969, a Rapallo, nel 1978, e a Chiavari nel 1994. Nel 1969, è poi uscita, a Genova, una monografia con varie testimonianze di critici sulla pittura di Oreste Bogliardi, e, oggi, alcune delle sue opere sono conservate presso il museo d'arte contemporanea di Genova.

  • Genova - 14/05/2016

    Il 14 maggio del 190...

    Il 14 maggio del 1905, moriva Federico Delpino, noto botanico, e maggiore darwinista ed evoluzionista italiano.

    Nato a Chiavari nel 1833, Delpino aveva abbandonato gli studi in matematica intrapresi presso l’università di Genova, e aveva trovato lavoro al Ministero delle Finanze a Torino. Dopo il trasferimento della capitale del Regno d'Italia a Firenze, Delpino si era trasferito nel capoluogo toscano, dove aveva frequentato il Giardino dei semplici e il museo botanico dell'Università. Qui, aveva conosciuto Filippo Parlatore, il quale, nel 1867, riconosciuta in lui un'inconsueta capacità di apprendimento, e di un'estesa cultura botanica al di fuori dei canoni culturali dell'epoca, lo aveva assunto come assistente presso quella struttura accademica.

    Nel 1871, Delpino era diventato professore di Scienze Naturali, e, in quel periodo, si era anche imbarcato come naturalista sulla nave da guerra Garibaldi, in una spedizione che era stata una sorta viaggio d’istruzione per il principe Tommaso di Savoia-Genova. In quell’occasione, l’uomo aveva avuto modo di visitare la regione costiera del Brasile, esperienza che gli aveva permesso di riportare reperti e osservazioni d’importanza notevole.

    Per la sua adozione delle teorie evoluzionistiche di Darwin, venne considerato il più importante darwinista italiano.
    Delpino era diventato professore straordinario all'università di Genova nel 1875, e nella nostra città aveva inoltre diretto il locale Orto botanico. Nel 1884 aveva poi ottenuto un incarico presso l'Università di Bologna, dove rimase per quasi dieci anni.
    È poi a Napoli che diventa preside della facoltà di scienze dell’università partenopea, e, nel 1903 viene eletto Presidente della Società Botanica Italiana.

    Gli studi portati avanti da Delpino, basati su una formazione largamente autodidatta e, dunque, non allineata ai canoni accademici convenzionali, riguardarono soprattutto un sistema di osservazione dei fenomeni vegetali, applicati rigorosamente nel proprio ambiente vitale: questo sistema fu drasticamente innovativo rispetto alla condizione culturale del suo tempo, che prevedeva l'osservazione e la descrizione minuziosa di ogni individuo vegetale, a scopo di classificazione o di riconoscimento di esso, senza però alcuna attenzione alle interazioni con altri viventi e con l'ambiente naturale.
    L’opera di Delpino Memorie di Biologia Vegetale rappresenta una base speculativa interdisciplinare, che ha condotto a quella che oggi è definita "ecologia".

    Chiavari ha intitolato a questo grande botanico e studioso il liceo classico della città.

  • Genova - 14/05/2016

    Le edicole votive...

    Le edicole votive

    Una delle caratteristiche che contraddistinguono il centro storico di Genova è la presenza delle edicole votive, segno tangibile e testimonianza concreta della grande devozione dei genovesi.
    Il termine edicola deriva dal latino "aedicula", diminutivo di "aedes" (tempio), e, nella tradizione classica, faceva riferimento a un piccolo tempio che ospitava la statua della divinità. Le edicole votive che si incontrano passeggiando per Genova sono da considerarsi delle vere e proprie opere d'arte, incastonate come pietre preziose negli angoli degli antichi palazzi dei caruggi della Superba.

    La tradizione cristiana fa risalire la loro nascita al Medioevo e al culto di Maria, predicato soprattutto da San Bernardo e da San Bonaventura, ma la massima diffusione si ha nel Seicento: nel 1637, infatti, avviene la consacrazione di Genova alla Madonna, particolarmente venerata in città, tanto da essere definita “Regina di Genova”.

    Oggi, purtroppo, le statue contenute nelle edicole, spesso ornate con ex voto o con candele, si sono deteriorate in modo considerevole, o sono state oggetto di atti di vandalismo e, per questo, molte non sono facilmente visibili; tuttavia, dagli ultimi anni, è in corso un progetto ambizioso di restauro e di catalogazione.
    Un’altra caratteristica tipica del centro storico genovese sono i portali dei palazzi, decorati con sculture, statue e affreschi: l'origine della diffusione di questo tipo di portali risale al XV secolo, quando le famiglie nobili proprietarie dei palazzi della zona, per far fronte alla carenza di spazi per nuove aree abitative o d’adibire a botteghe, decisero di riutilizzare i cortili e i porticati degli stessi, cambiando la distribuzione degli spazi e ottenendone nuovi vani.

    I palazzi così ridefiniti necessitavano, però, di ingressi più eleganti dei precedenti, e così scultori e maestri muratori venivano ingaggiati per abbellire i portali.

  • Genova - 13/05/2016

    Gli offizieu.

    Qual...

    Gli offizieu.

    Qual è la storia degli offizieu, tipiche candele della tradizione ligure utilizzate durante le celebrazioni di Ognissanti e per la commemorazione dei defunti?

    La tradizione legata agli offizieu, chiamati anche “mocchetti”, cioè piccoli moccoli, nacque probabilmente nella Val Fontanabuona, in un convento di monache a Varese Ligure e nella Cereria Bancalari di Chiavari: questi piccoli lumini in cera potevano essere bianchi, multicolore o decorati da un sottile filo argenteo, e venivano piegati più volte o arrotolati fino a formare un officiolo. Quest’ultimo veniva poi avvolto in forme di legno da abili artigiani, che vi ricavavano poi scarpette, cappellini, cestini e borsine. Le nonne compravano gli offizieu ai lori nipoti per insegnare loro a commemorare i defunti: tenendo l'oggetto in mano, il calore aiutava a srotolare il filo, così il bambino poteva staccarne dei pezzetti e accenderli, come candeline, davanti alle foto dei cari defunti. Si vendevano persino i fili a "metro", di modo che i bambini potessero costruire il loro offizieu "fai da te”.

    La tradizione degli offizieu nel Tigullio, ma anche in molte parti della Liguria, è cominciata a svanire dagli anni 70 in poi: il troppo lavoro che comportava il rimuovere la cera dai pavimenti, la scarsa affluenza dei bambini alle feste dei santi e dei morti, e la conseguente scarsa richiesta nella produzione.

    Oggi, purtroppo, gli offizieu rimangono solo un lontano ricordo, e i depositari della tecnica di realizzazione sono davvero pochi.

    A queste candele tipiche della tradizione ligure, il poeta dialettale genovese Nicolò Bacigalupo ha persino dedicato dei versi:

    «Davanti ai negozi
    de tûtti i speziæ,
    esposti in bell'ordine
    pe mettine coæ
    gh'è un mûggio asciortio
    de belli offiçieu
    delizia, sospio
    de tanti figgieu»

  • Genova - 11/05/2016

    Antonio Malfante

    I...

    Antonio Malfante

    I carruggi genovesi, ovvero i caratteristici e stretti vicoli ombrosi della città di Genova, hanno visto passare, nel corso dei secoli, molti personaggi famosi provenienti da ogni parte del mondo, e che oggi sono ricordati da targhe o da lapidi in marmo. Tra questi, c’è Antonio Malfante, il cui ricordo è affidato a una lapide in piazza Cattaneo: nato nel 1409, l’uomo fu il primo commerciante genovese ed europeo ad attraversare il Sahara spingendosi fino al fiume Niger. All’epoca, Timbuctu era soprannominata la città dell'oro, e quello che veniva acquistato nelle città sulla costa Mediterranea dell'Africa raggiungeva un costo molto più alto in proporzione a quanto a quello che aveva nella zona di estrazione: era questo che spingeva i mercanti europei a intraprendere viaggi fino alle zone aurifere per pagare l’oro a un prezzo inferiore. L'attraversamento del deserto del Sahara nascondeva molti pericoli, ma, se la spedizione fosse andata a buon fine, ci si sarebbe arricchiti grazie al commercio di questo metallo prezioso.

    Il viaggio di Malfante iniziò nel 1447, e l’uomo fu il primo cristiano a raggiungere l’oasi sahariana di Tuwat: la sua missione era vista da Genova come una ricognizione della zona per assicurarsi veramente quale fosse la situazione nell’area del regno del Mali. Il genovese fece una descrizione particolareggiata sugli usi e costumi degli abitanti della zona, fornendo informazioni utili per coloro che avrebbero intrapreso quel viaggio in futuro. Nonostante gli affari nel continente africano non stessero ottenendo il successo sperato, Malfante decise di continuare il suo viaggio verso Timbuctu. Giunto a destinazione, però, non fu in grado di scoprire dove si trovassero le zone aurifere. La sua spedizione, dunque, non ottenne il successo sperato, ma le preziose informazioni fornite dal genovese, e raccolte nel libro “Lettera di un mercante genovese”, permisero ad altri avventurieri di partire per l’Africa alla ricerca dell’oro: le città della nostra penisola divennero la principale controparte commerciale per via terra, realizzando quel primato economico basato sull'importazione di oro, che i Portoghesi ottenevano, all’epoca, per via marittima.

  • Genova - 07/05/2016

    Erano le 23:05 del 7...

    Erano le 23:05 del 7 maggio 2013, quando la nave portacontainer Jolly Nero, durante la manovra di uscita dal porto di Genova, urtava e abbatteva la torre piloti, una struttura di vetro e cemento alta 54 metri e posizionata all'estremità del molo Giano. A perdere la vita furono Daniele Fratantonio, di Rapallo, Davide Morella, Marco De Candussio, Giuseppe Tusa, tutti e quattro militari della Guardia Costiera, il pilota del porto Michele Robazza, l’operatore radio dei rimorchiatori di Genova Sergio Basso, l’operatore radio dei piloti Genova Maurizio Potenza, il sergente Gianni Jacoviello di La Spezia, e il maresciallo Francesco Cetrola.

    Una messa per ricordare le nove vittime, l’inaugurazione di una scuola materna, la consegna di quattro borse di studio e l’inaugurazione della fine dei lavori di sistemazione della testata di Molo Giano: così ieri, alla distanza di tre anni da quel giorno drammatico, la Capitaneria di porto di Genova, il Corpo Piloti del Porto di Genova e la Società Rimorchiatori Riuniti hanno ricordato questo evento tragico.

    "È una tragedia terribile. Siamo sconvolti, senza parole": così il presidente dell'Autorità Portuale di Genova, Luigi Merlo, aveva commentato l'incidente al Molo Giano. "E' un incidente al momento non spiegabile, un incredibile trauma per tutta la comunità portuale. Ora pensiamo solo alle vittime, poi cercheremo di capire".

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