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  • Genova - 07/05/2016

    Ieri, all’età di 71...

    Ieri, all’età di 71 anni, ci ha lasciato uno dei simboli per eccellenza della Sampdoria, Giancarlo Salvi.

    Salvi era nato a Dego, in provincia di Savona, e aveva iniziato la carriera proprio con la maglia della Sampdoria, esordendo in serie A il 15 settembre 1963. Ma è il 7 giugno 1964 che Salvi è passato alla storia, quando aveva segnato il gol che aveva permesso alla Sampdoria di battere il Modena nello spareggio per restare in A. Dopo un anno al Milan, nel 1965 era tornato alla Sampdoria per restarvi 11 anni, diventando un grande punto di forza della squadra blucerchiata: con 291 presenze in blucerchiato, è tuttora il settimo calciatore della Sampdoria più presente in incontri di campionato.

    Dopo aver perso il posto da titolare nell'ultimo campionato, Salvi aveva lasciato Genova nel 1976, per entrare nel Vicenza, dove aveva conquistato la promozione, e poi un secondo posto. Il terzo anno, il 1978-1979, aveva visto la retrocessione dei berici in serie B, ed era dunque sceso in Serie C1.

    In carriera aveva collezionato complessivamente 313 presenze e 40 reti in serie A, 75 presenze, e 17 reti in Serie B, giocando più di 300 partite con la maglia della Sampdoria tra gli anni 60 e 70, e segnando quasi 60 gol. Salvi si era ritirato dal calcio giocato a 34 anni, ed era entrato nei quadri dirigenziali del Vicenza, intraprendendo anche la carriera imprenditoriale in società con l'ex compagno biancorosso e amico Paolo Rossi.
    La società blucerchiata ha commentato così la scomparsa di Salvi: «A noi piace ricordarlo così: giovane e bello, come gli eroi meritano di essere ricordati. Maglia blucerchiata addosso, 19 anni compiuti da poco, e il sorriso di chi sa di avere fatto qualcosa d’importante pur non essendone pienamente consapevole».

    Il Salvi blucerchiato è rimasto nel cuore dei tifosi anche dopo aver lascato quella maglia che era ormai una seconda pelle, ed è stato un simbolo e un modello esemplare per i giocatori di oggi, contribuendo a creare un'immagine della Sampdoria che continuava a lottare nonostante le sconfitte.

  • Genova - 05/05/2016

    Oggi, la città di Ge...

    Oggi, la città di Genova ricorda Giuseppe Garibaldi, che 156 anni fa, il 5 maggio del 1860, partendo da Quarto, guidò un esercito di volontari dando inizio alla spedizione dei Mille.

    In origine, la denominazione ufficiale del quartiere genovese era Quarto al Mare, ma il nome fu poi modificato nel 1911 in Quarto dei Mille, proprio in onore della famosa spedizione. Un tempo comune autonomo, nel 1926 venne aggregato alla Grande Genova, e la zona era abitata da contadini e da pescatori, oltre a essere sede di palazzi di villeggiatura.

    È proprio da questa località che, la notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, i Mille, guidati da Garibaldi, partirono alla volta di Marsala: lo scopo della spedizione era infatti quello di appoggiare le rivolte scoppiate in Sicilia e capovolgere il governo borbonico. I volontari sbarcarono sull’isola l'11 maggio e, dopo diverse battaglie contro l'esercito borbonico, i volontari riuscirono a conquistare tutto il Regno delle Due Sicilie, permettendone l'annessione al nascente Stato italiano.
    Il 5 maggio del 1915, sul capo antistante lo scoglio da dove erano partiti i Mille, venne inaugurato il monumento in ricordo alla spedizione, realizzato dallo scultore Eugenio Baroni. L’imponente gruppo bronzeo, rivolto verso il mare, fu scoperto alla presenza di un folto pubblico, assiepato sul litorale e addirittura in mare, su barche e gozzi, alla presenza di diverse personalità. Erano i giorni che precedevano l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale: tutti ne attendevano l’annuncio da parte del Re, che, come il presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Salandra, non prese parte alla manifestazione. Chi partecipò, invece, fu Gabriele D’Annunzio, il quale tenne un concitato discorso commemorativo ed esplicitamente interventista.

    Quarto dei Mille, oltre a essere la sede del Gaslini, ospita anche il Museo Garibaldino, che si trova a Villa Spinola, luogo dove prese corpo l'organizzazione della famosa spedizione garibaldina.

  • Genova - 04/05/2016

    L’albergo dei poveri...

    L’albergo dei poveri

    L’edificio in piazza Brignole che oggi ospita la facoltà di Scienze politiche dell’università di Genova, era, un tempo, un ricovero dove venivano ospitati i poveri della città: fino al 1652, infatti, a Genova la carità pubblica si avvaleva di diverse associazioni benefiche, che si occupavano degli indigenti, sani e malati, ognuna a seconda delle finalità stabilite dai lasciti dei fondatori di queste associazioni.
    Dal momento che l'amministrazione pubblica, che contribuiva ai bilanci delle associazioni, avvertì l'esigenza di unificare la gestione di queste attività, Emanuele Brignole propose la costruzione di un edificio che potesse ospitare e aiutare la maggior parte dei bisognosi, ottenendo l’approvazione dal Senato nel 1652.

    L’area scelta per l’albergo dei poveri era, al tempo, una zona di scarso pregio edilizio e lontana dal centro cittadino, nella valle del rio Carbonara; i bisognosi, che svolgevano attività di manodopera non specializzata, alloggiavano nelle tre ville rustiche che erano state acquistate, e la struttura poteva arrivare a ospitare fino a 1800 persone.

    Dopo quattro anni dall'apertura del cantiere, i lavori vennero sospesi a causa di una terribile epidemia di peste che decimò la popolazione genovese: fu allora che Brignole pensò di finanziare lui stesso l’opera, permettendo, così, la ripresa dei lavori, nel 1957. Quell’anno si decise anche di costruire, sempre grazie al contributo economico di Brignole, e al centro dell’albergo dei poveri, una chiesa intitolata all’Immacolata Concezione, all’interno della quale, sotto una lapide senza nome è stato sepolto, per sua volontà, il fondatore Emanuele Brignole.

    L'edificio, dopo essere stato ampliato più volte nei secoli successivi, assunse l'attuale aspetto soltanto nel 1835. Soprattutto nei primi anni, l'albergo fu utilizzato anche per altri scopi: in particolare, durante il bombardamento navale della flotta francese nel 1684, qui si rifugiarono i rappresentanti della repubblica genovese, i quali vi trasferirono provvisoriamente gli antichi e pregiati beni pubblici genovesi, come il Tesoro di S.Lorenzo e le ceneri di S.Giovanni Battista. Inoltre, nel 1672, vi alloggiarono circa 2000 prigionieri savoiardi, e, nel 1746, 4000 prigionieri austriaci.

    Nell'ultimo decennio del XX secolo, la struttura ha ospitato un centro d’assistenza per anziani, mentre, dagli anni 90, smessa la funzione di ricovero, l’edificio ospita la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Genova.

  • Genova - 30/04/2016

    Qual è la storia di...

    Qual è la storia di quello che si può considerare il fiore all’occhiello della città di Genova, ovvero Boccadasse?

    Questo piccolo borgo marinaro, con le sue casette colorate, la sua spiaggia e le barche dei pescatori a due passi dai palazzi, è uno degli angoli più amati e più fotografati di Genova, dove l’impressione che si ha è che il tempo, qui, si sia fermato.

    Edoardo Firpo, pensando a questo magnifico angolino, ha scritto la poesia Boccadaze, mentre Gino Paoli e Ornella Vanoni gli hanno persino dedicato la canzone intitolata, appunto, Boccadasse. Una leggenda narra che il borgo sia stato stato fondato intorno all'anno mille da alcuni pescatori spagnoli che, trovando rifugio in quest’insenatura, riuscirono a scampare a una terribile tempesta. Inoltre, il cognome Dodero, oggi molto diffuso in città, deriverebbe dal nome del loro capitano, De Odero o Donderos. Il nome stesso “Boccadasse” sarebbe invece legato alla forma della piccola baia, che ricorda la bocca di un asino (bocca d’aze); secondo un’altra ipotesi, “asse” era invece un torrente che scorreva proprio dove oggi si trova via Boccadasse, e che, dopo aver alimentato lavatoi e fontane, sfociava in mare, proprio nel centro del borgo. Altri ancora, sostengono che il nome faccia riferimento a Guglielmo Boccadassino, un antico proprietario della zona. Si narra persino che il quartiere di Buenos Aires la Boca debba il suo nome ai tanti immigrati d’origine genovese che vi abitano.

    Fino al 1873, quando diversi comuni vennero accorpati a Genova, Boccadasse ha fatto parte del comune di San Francesco d’Albaro, e rappresentava il suo sbocco sul mare.

  • Genova - 29/04/2016

    Oggi, attraverso la...

    Oggi, attraverso la cerimonia di premiazione della terza edizione del Premio “Giovani e la Ricerca Memorial Mario Mai”, Santa Margherita Ligure ricorderà il 43enne sammargaritese che, l’11 settembre del 2013, perse la vita a causa di un tragico incidente stradale a Genova.

    Lo scopo dell’iniziativa, promossa dal padre di Mario, è quello di legare il nome di Mario Mai ai valori fondamentali della solidarietà e della ricerca scientifica: il premio, una conchiglia artistica con al centro una grossa perla, simbolo emblematico della cittadina del Tigullio, verrà consegnato alla dottoressa Laura Cancedda, chimica, farmacologa, neurofisiologa e ricercatrice dell'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova.

    Questa sarà l’occasione per stringersi attorno alla famiglia di Mario, rinnovando il cordoglio per la scomparsa prematura dell’uomo.

  • Genova - 28/04/2016

    Oggi, a 50 anni dall...

    Oggi, a 50 anni dalla scomparsa, Genova commemora uno dei suoi simboli per eccellenza: Gilberto Govi, attore e fondatore del teatro dialettale genovese.

    Govi nasce a Genova nel 1885, ed è ancora un bambino quando inizia ad appassionarsi al teatro e, a soli dodici anni, recita in una filodrammatica. Bravissimo a disegnare, frequenta poi l’Accademia di Belle Arti, studi che gli risulteranno utilissimi nella sua carriera di attore; Govi, infatti, disegna spesso autocaricature grottesche, che riproducono il viso in ogni sua parte, sviluppando, così, un sistema originale per creare personaggi nuovi per le sue interpretazioni.
    Terminati gli studi all’Accademia, lavora come disegnatore presso le Officine Elettriche Genovesi, e, allo stesso tempo, entra in una nuova compagnia teatrale dilettante, con sede al Teatro Nazionale di Genova. Qui sono però consentite solo recite in perfetto italiano: è a questo punto che Govi, nel 1913, fonda la compagnia genovese "La dialettale", iniziando a esibirsi nei maggiori teatri cittadini.

    Nel 1923, la rappresentazione della commedia I manezzi pe majâ na figgia segna l'inizio del suo successo. È allora che Govi decide di abbandonare il posto fisso di disegnatore per dedicarsi esclusivamente al teatro: i testi, scritti in italiano dallo stesso Govi, vengono poi tradotti dall'attore in dialetto genovese. Tra i suoi maggiori successi si ricordano classici come Pignasecca e Pignaverde, Colpi di timone e Quello buonanima. Govi è dotato di un’inesauribile fantasia: partendo da una barba, un pizzetto o una ruga è in grado di dar vita a un nuovo personaggio. È un vero e proprio talento naturale, che ama raccontare la vita quotidiana della gente semplice e umile, facendo divertire e riflettere allo stesso tempo.

    Nel 1926, Govi lascia l'Italia per una tournée in America Latina, e, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la sua carriera è sempre in ascesa, con tournée teatrali sia in Italia che all'estero. Nel periodo del conflitto mondiale, l’attore teme che il pubblico non apprezzi più le sue rappresentazioni; la commedia Il porto di casa mia chiude, nel 1960, la sua ultima stagione teatrale: a 75 anni Govi decide di lasciare il palcoscenico sostenendo che “il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te”.

    Gilberto Govi rappresenta un’icona della tradizione genovese, ed è proprio grazie ai suoi personaggi che l’attore ha costruito un’immagine di Genova e del genovese che si è diffusa in tutto il mondo.

  • Genova - 28/04/2016

    La leggenda dell'alb...

    La leggenda dell'albero d'oro.

    Perché la via che conduce a Villa Imperiale, una delle più antiche e prestigiose ville rinascimentali di Genova, si chiama via dell’Albero d’Oro?

    La Villa, costruita nel 1502 nel quartiere di San Fruttuoso, rappresenta una delle vie d’accesso al Santuario della Madonna del Monte, e riveste un significato storico importante per i genovesi: lungo le mura che la circondano dal lato di ponente, sale un viottolo che conduce alla vicina Villa Migone, al tempo residenza del cardinale Pietro Boetto, in cui la sera del 24 aprile 1945 il generale Gunter Meinhold, comandante in capo delle truppe tedesche di stanza a Genova, firmò l'atto di resa nelle mani dello stesso Boetto e del comandante partigiano Remo Scappini, ponendo fine alla seconda guerra mondiale nel capoluogo ligure. Il 25 aprile del 2007, l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha reso omaggio a Genova, medaglia d'oro per la resistenza partigiana, visitando Villa Migone.

    La leggenda dell’Albero d’Oro legata a Villa Imperiale narra che, molto tempo fa, il proprietario del terreno dove sorge la villa avesse perso ai dadi gli appezzamenti che possedeva. Nonostante questo, l’uomo decise d’impegnare anche l’ultimo albero che gli era rimasto, probabilmente un albero d’alloro: la via che collega l'ingresso principale della villa con piazza Terralba è poi diventata “d’oro” per assonanza. Dopo quella giocata, il signorotto riuscì a riconquistare i suoi terreni, e da quel momento in lui qualcosa cambiò: decise infatti di smettere di sperperare tutti i suoi soldi nel gioco, e di vivere secondo i valori della semplicità e dell’umiltà. Il famoso albero d’oro, ormai vecchio e malato, è stato abbattuto a metà degli anni 80, e sostituito con un altro più giovane.

  • Genova - 27/04/2016

    Esattamente due anni...

    Esattamente due anni fa, il mondo del calcio era in lutto per la morte, sulla soglia degli 83 anni, di Vujadin Boskov, storico allenatore della Sampdoria.

    Boskov era nato nel 1931 a Begec, in Serbia, e, prima che allenatore, era stato un grande calciatore: dal 1946 al 1960, quasi tutta la sua carriera, aveva giocato nel Vojvodina di Novi Sad, disputando anche 57 incontri con la Nazionale jugoslava come mediano o mezzala, e partecipando a un’Olimpiade e a due mondiali.

    All’età di 22 anni, Boskov era stato convocato dalla Fifa nella formazione del Resto d’Europa per una gara da disputare a Wembley contro l’Inghilterra, che si concluse 4-4. Il suo rapporto d’amore con la Sampdoria era iniziato quando l’uomo aveva 30 anni: era stata la società blucerchiata, infatti, ad ingaggiarlo inizialmente come calciatore, nella stagione 1961-1962, anche se, in quel periodo, Boskov non era al massimo della sua forma fisica.

    Qualche anno dopo, dal 1963 al 2001, il serbo era stato allenatore degli Young Boys, squadra svizzera nella quale aveva anche giocato; è proprio in questi anni che Boskov aveva scoperto molti talenti, registrando notevoli successi. La Fk Vojvodina, nazionale jugoslava, il Den Haag e il Feyenoord nei Paesi Bassi, il Real Zaragoza, il Real Madrid e lo Sporting Gijon in Spagna, l’Ascoli, la Sampdoria, la Roma, il Napoli e il Perugia in Italia sono tutte squadre che hanno avuto il privilegio di venire allenate da Boskov.

    Nel nostro Paese, il serbo è ricordato in particolar modo per lo storico scudetto vinto nel 1991 con la Sampdoria, l’unico della storia blucerchiata. Era stata la Sampdoria di Paolo Mantovani ad aver dato il via a un ciclo di coppe conquistate e perse, scudetti vinti e sfiorati. La squadra, grazie a Boskov, era diventata qualcosa di leggendario e irripetibile: Vierchowod e Lombardo, Pari e Dossena, Cerezo e Mannini.

    «Nella mia vita ho vinto, ma lo scudetto con la Samp è il più bello e il più dolce. Perché l’ho conquistato nel campionato più difficile ed equilibrato del mondo, e perché era il primo per una società che doveva ancora compiere mezzo secolo di vita. È un po’ come quando ti nasce il primo figlio: gioia e allegria sono maggiori»: erano state queste le parole con cui lo stesso Boskov aveva commentato la storica conquista dello scudetto blucerchiato.

  • Genova - 26/04/2016

    Sabato scorso, a 68...

    Sabato scorso, a 68 anni, è venuto a mancare all’improvviso Luigi Gianneschi, fondatore e presidente della Gianneschi Pumps and Blowers, e membro del Consiglio Generale di UCINA (Unione Nazionale dei Cantieri e delle Industrie Nautiche e Affini) per il Settore Produzione Accessori ed Equipaggiamenti.

    La Gianneschi Pumps and Blowers, che l’uomo gestiva insieme ai figli, produce pompe, elettropompe, autoclavi ed elettroventilatori per yacht e mega yacht da diporto, e rappresenta un’azienda leader a livello internazionale, conosciuta in tutto il mondo grazie all'innovazione di prodotto e al know how tutto made in Italy.

    Gianneschi aveva iniziato la sua attività d’imprenditore nel settore della nautica da diporto italiana nel 1968, distinguendosi per la sua versatilità e apertura verso l’innovazione e l’internazionalizzazione.
    Carla Demaria, Presidente di UCINA Confindustria Nautica, ha commentato così la notizia della scomparsa di Gianneschi: “Ricordiamo la sua visione associativa e la grande discrezione e signorilità che aveva nei rapporti umani e con gli altri imprenditori. Luigi ha sempre rappresentato con grande dedizione, visione associativa ed energia, le istanze delle aziende del suo comparto. Attraverso un confronto costante e aperto con la base associativa, ha dato un grande contributo alle riflessioni strategiche del Consiglio UCINA, trasferendo in stimoli costruttivi per la riflessione e l'implementazione delle azioni di supporto al settore a livello nazionale e sui mercati internazionali".

    Il Presidente, il Consiglio, il Direttore, e tutto il personale di Ucina Confindustria Nautica hanno espresso il loro cordoglio per la scomparsa di Luigi Gianneschi.

    Anche Pierluigi Benaglio, il Presidente del Consorzio Le Bocchette, l’aera industriale dove l’uomo lavorava da anni, lo ha voluto ricordare “nella sua umiltà e nella sua disponibilità e partecipazione, presente e disponibile ad ogni attività del Consorzio”.

  • Genova - 25/04/2016

    Il 25 aprile del 147...

    Il 25 aprile del 1472, moriva uno dei personaggi più importanti ed eclettici del Rinascimento: Leon Battista Alberti.

    Leon Battista Alberti era nato a Genova nel 1404 da Lorenzo Alberti, appartenente una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dal capoluogo toscano per ragioni politiche, e da Bianca Fieschi, di una delle più nobili casate genovesi.

    Alberti si era dedicato agli studi umanistici prima a Venezia poi a Padova, trasferendosi in seguito a Bologna, dove aveva studiato diritto coltivando però, allo stesso tempo, il suo amore per molte altre discipline, come la musica, la pittura, la scultura e la matematica. Sin da giovane aveva intrapreso l’attività letteraria, scrivendo, tra gli altri, una commedia autobiografica in latino e un romanzo mitologico.

    Vivendo un po’ a Roma, un po’ a Firenze, e anche a Ferrara, Leon Battista era interessato soprattutto alla ricerca costante di regole e di canoni che potessero guidare il lavoro degli artisti: nella sua opera De statua, per esempio, aveva esposto lo proporzioni del corpo umano, mentre, nel De pictura, aveva fornito la prima definizione della prospettiva scientifica. L'aspetto innovativo delle sue proposte consisteva nel mescolare l'antico con il moderno.

    La classe sociale a cui Alberti faceva riferimento era un'aristocrazia e un’alta borghesia illuminata; aveva infatti lavorato per committenti come i Gonzaga a Mantova e a Firenze, i Malatesta a Rimini, e i Rucellai a Firenze.

    Alberti è stato scrittore, matematico, umanista, linguista, filosofo, musicista e archeologo e, come architetto, è considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura rinascimentale.

  • Genova - 25/04/2016

    Il Secolo XIX festeg...

    Il Secolo XIX festeggia il suo130esimo compleanno

    Nel 1886, la Pasqua cadde il 25 aprile, e proprio quel giorno uscì nelle edicole il primo numero del Secolo XIX.

    Il quotidiano genovese fu fondato e diretto da Ferruccio Macola, e finanziato dal marchese Marcello Durazzo; una copia malridotta dell’edizione del pomeriggio del primo numero si trova nella biblioteca Berio di Genova, mentre quello uscito la mattina di 130 anni fa, è andato perduto.

    Sul queste primissime copie campeggiava l’ingombrante scritta Il Secolo Decimonono, ma già dalla seconda edizione il direttore cambiò la testata, abbreviandola in Il Secolo XIX. Nonostante questo, i liguri continuarono per molto tempo a chiamarlo “il Decimonono”, ma poi, per tutti, è diventato semplicemente “Il Secolo”.

    Fu Ferdinando Maria Perrone, uomo d’affari piemontese e proprietario degli stabilimenti genovesi Ansaldo, a rilevare, a fine Ottocento, Il Secolo XIX, e ad affidarlo al più titolato direttore dell’epoca: Luigi Arnaldo Vassallo,, Perrone era infatti convinto della necessità di un giornale autorevole per la sua industria.

    Questo legame tra il giornale e l’industria, però, cessò nel momento in cui il regime fascista, alla fine della prima guerra mondiale, s’impossessò di Ansaldo; tuttavia, i figli di Ferdinando mantennero il giornale come proprietà di famiglia, e l'attuale azionista di maggioranza e Presidente del Consiglio di amministrazione del Secolo è Carlo Perrone, che rappresenta la quarta generazione della famiglia proprietaria.

  • Genova - 21/04/2016

    Il 21 aprile 2015 un...

    Il 21 aprile 2015 una morte improvvisa si è portata via Paolo Ceccarelli, studente universitario e calciatore dilettante di soli 22 anni.

    Paolo era di Arenzano e, dopo essere cresciuto nelle giovanili del Genoa, giocava come attaccante nel Cogoleto; proprio quella tragica domenica di un anno fa, prima di sentirsi male, aveva segnato due gol contro la Rivarolese.

    «Subito dopo la partita, mi sono congratulato con lui per i due gol. Quando mi hanno dato la notizia non volevo crederci. Era un ragazzo speciale»: il presidente della sua squadra aveva commentato così la morte del giovane.

    «Cecca», come lo chiamavano gli amici, allenava anche i pulcini del settore giovanile del Cogoleto, e la sua morte ha sconvolto tutti quelli che lo conoscevano, che lo descrivono come «un ragazzo pieno d’interessi e di amici».

    Paolo amava il calcio, sport che praticava dall’età di sei anni, e aveva giocato anche tra i Giovanissimi del Genoa. Proprio il responsabile del settore giovanile, Michele Sbravati, lo ha ricordato con queste parole: «Un ragazzo solare, sorridente, con valori morali importanti inculcati dalla famiglia».

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